Gullit su EURO '88: tempismo perfetto
venerdì 1 marzo 2013
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Ruud Gullit ha faticato a trovare la forma migliore a EURO 1988, ma con l'aiuto di Rinus Michels, Marco van Basten e Whitney Houston si è rivelato decisivo nel momento cruciale.
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Ruud Gullit avrebbe potuto cedere sotto il peso delle aspettative ai Campionati Europei UEFA del 1988, senza riuscire a mantenere il livello che gli era valso l’etichetta di giocatore più forte al mondo. Invece, grazie all’aiuto del Ct Rinus Michels, del compagno d’attacco Marco van Basten e di Whitney Houston, fu sicuramente all’altezza della sfida.
La finale era iniziata da 32 minuti, quando Erwin Koeman rimise al centro dell’area una corta respinta su corner. Marco van Basten fece da sponda di testa, saltando al massimo delle proprie possibilità e, in un grappolo di maglie bianche sovietiche che tentavano di arrivare sulla palla, comparve un lampo arancione. Era il momento che Ruud Gullit stava aspettando: saltò, colpi la palla in una nuvola di treccine e la spinse con forza alle spalle di Rinat Dasaev. Il momento d’oro dell’Olanda era cominciato.
Prima del fischio finale, arrivarono anche il celeberrimo gol di Van Basten e il rigore parato da Hans van Breukelen a Ihor Belanov che sancirono il 2-0 finale. Quando Gullit si mise alla testa dei suoi per ricevere il trofeo, il tempo sembrò fermarsi. "È come essere in un film, ti senti sospeso - ricorda l'olandese -. Sai che il trofeo è tuo, impazzisci di gioia. Ti sembra di essere da solo. Guardi la coppa e ti chiedi se stai sognando. Ci sono tante cose che non ricordo di quel momento".
La parziale amnesia può essere forse dovuta ai festeggiamenti successivi, in cui fu dato sfogo alla gioia e alla liberazione. Due settimane prima, le sensazioni erano opposte: gli Oranje, sconfitti per 1-0 proprio dall’URSS, avevano tutto da dimostrare. "La cosa più divertente è che nell’88 la nostra miglior partita fu la prima, contro l’Unione Sovietica, e la perdemmo per un gol in contropiede - spiega Gullit -. Fu dura da accettare, perché eravamo convinti di essere più forti, ma ci ritrovammo a mani vuote. Da lì in avanti non c’erano alternative alla vittoria".
"C’era molta pressione su di me perché venivo da una stagione ottima. Tutti si aspettavano che mi ripetessi, ma ero stanco, non ce la facevo", ammette Gullit. Un problema che certo non affliggeva Van Basten, dal momento che un infortunio alla caviglia lo aveva limitato a 11 presenze con l'AC Milan campione d’Italia. "Per mia fortuna Marco era in gran forma - spiega Gullit -. Era sufficiente passargli il pallone. Contro l’Inghilterra lo servii due volte e lui segnò in entrambe le occasioni".
Van Basten completò la sua personale tripletta a un quarto d’ora dalla fine, suggellando il succcesso 3-1 e giustificando appieno la decisione di Michels di includerlo nell'undici di partenza. L’Olanda aveva iniziato a correre, anche se rischiò di inciampare nella partita successiva, contro la Repubblica d'Irlanda, in cui l’unico risultato utile era la vittoria. Dopo lo spavento causato da un colpo di testa di Paul McGrath stampatosi sul palo, a otto minuti dalla fine Wim Kieft trovò un gol fortunoso, deviando di testa un tiraccio al volo di Ronald Koeman. "Ci andò bene", ammette Gullit.
Attesi dalla Germania Ovest in semifinale, gli olandesi forse meritavano un po’ di buona sorte. Gli Oranje non battevano i grandi rivali da 32 anni, con la sconfitta più bruciante subita nella finalissima della Coppa del Mondo FIFA 1974 in Germania. Lothar Matthäus e Ronald Koeman segnarono un rigore a testa nel secondo tempo, prima che Van Basten infliggesse ai tedeschi il colpo di grazia a due minuti dal termine, infilando il pallone nell’angolo più lontano in scivolata, su passaggio filtrante di Wouters.
"Sconfiggere i tedeschi a casa loro fu un’impresa; ci sentimmo invincibili - ricorda Gullit -. Vedere le immagini dei telegiornali olandesi fu davvero strano. Lì per lì non ci rendemmo conto dell’accaduto. Poi, dopo un paio di giorni, all’improvviso capimmo cosa avevamo fatto".
Fu una vittoria così speciale che venne scritto un libro di poesie su quella giornata, ma Gullit voleva festeggiare a modo proprio. "Organizzai una festa in discoteca per i giocatori, le mogli, i giornalisti, i tifosi, chiunque volesse partecipare. E il giorno prima della finale andammo a un concerto di Whitney Houston. Da non crederci, vero? E quindi il giorno della finale ci siamo detti: 'Abbiamo festeggiato, abbiamo visto Whitney Houston, ci manca solo la coppa!'".
A quel punto la fatica non era più un problema. "Con l’avvicinarsi della finale, sentivo che stavo recuperando le forze. Avevo dormito molto e mi ero sottoposto spesso a massaggi. Anche Rinus Michels se ne rese conto e, prima della partita, mi disse che potevo tornare a battere le punizioni. L'Unione Sovietica era in salute. Erano forti, quindi fu dura, ma poi arrivò il gol di Van Basten - se ci riprovasse un milione di volte, non lo segnerebbe mai più".
E se ciliegina sulla torta fu giustamente di Van Basten, altrettanto giustamente fu Gullit a condurre la squadra su per i gradini dell’Olympiastadion per ricevere il primo importante trofeo dell’Olanda, anche se adesso fatica a ricordare quel momento. "Però mi ricordo il ritorno in Olanda - spiega riprendendo il racconto -. Salimmo in aereo e al capitano venne la bella idea di sorvolare Eindhoven. Poi, con l’aereo salutammo la gente sotto di noi, in questo modo [allarga le braccia e le abbassa a turno]. Allora dissi al pilota: 'Basta che tu ci faccia atterrare sani e salvi. Ai festeggiamenti penseremo dopo!'".