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Aimar pazzo di gol

Il trequartista argentino del Benfica confessa alla rivista Champions il suo amore per il calcio, la soddisfazione per i complimenti di Messi e Ferguson e i motivi per cui a 32 anni non valuta neppure l'ipotesi di ritirarsi.

Aimar pazzo di gol
Aimar pazzo di gol ©Getty Images

"La cosa più bella del calcio è il gol. Perdere è quello che mi piace di meno – ha dichiarato il trequartista argentino dell'SL Benfica Pablo Aimar sull'ultimo numero della rivista Champions -. Un calciatore desidera ardentemente il gol. Segnare in avvio è anche meglio... meglio di segnare il quarto o il quinto gol in una partita piena di reti. Ma se a farli è la tua squadra, significa che stai vincendo e neanche quello è male!”.

Aimar, 32 anni, è arrivato a Lisbona tre anni fa proveniente dal Real Zaragoza, diventando una pedina importante delle Aquile, che mercoledì faranno visita all'FC Zenit St Petersburg nell'andata degli ottavi di UEFA Champions League, avendo vinto il girone costato l'eliminazione al  Manchester United FC.

Da adolescente lascia il segno a Buenos Aires. Daniel Passarella, allora suo allenatore al CA River Plate, convince la famiglia di Aimar a fargli lasciare la sua città natale Cordoba a 16 anni. A 18 anni segna già il primo gol in prima squadra.

Dopo l'ottimo Coppa del Mondo FIFA Under 20 vinta dall'Argentina agli ordini di José Pekerman, il trasferimento in Europa – destinazione Valencia CF - è inevitabile. Con il connazionale Rubén Ayala in difesa, Aimar forma la spina dorsale della squadra di Rafael Benítez, che da eterna incompiuta passa a vincere campionati nazionali e Coppa UEFA. Tuttavia, è servito del tempo per ambientarsi nel calcio europeo.

"Potrà sembrare strano ma i terreni di gioco seminati, leggermente umidi, rendono il gioco molto più veloce – spiega Aymar -. C'è più precisione unita a velocità, più uno-due. All'inizio è stata dura".

In che cosa differiscono la scuola calcistica europea e quella sudamericana? "Nel calcio europeo ci sono più dribbling e meno sombreri. In ogni caso, il dribbling in Europa è più rapido. Il tasso tecnico è elevato, forse meno con la palla a terra, ma è molto bello da giocare e vedere".

Aimar è un esempio per il suo amore intatto per il calcio. "Ai ragazzi che iniziano a giocare a calcio dico di godersi ogni istante, senza aspettare di crescere o di vincere qualcosa. Fare il calciatore è uno splendido mestiere, di cui va apprezzato ogni attimo. Non si può mai sapere cosa può accadere: mai rimandare il divertimento".

Come altri grandi campioni del River Plate del passato - Alfredo Di Stéfano e Omar Sívori - Aimar ha un'idea romantica del calcio: intrattenimento attraverso bellezza. Con l'Argentina non ha vinto quello che il suo talento avrebbe meritato, ma la prende con filosofia.

"Ci sono tempi belli e meno belli. Sono pochi e rari i calciatori che giocano sempre bene. Ho avuto alti e bassi in carriera. Su di me sono state spesse parole belle e brutte. L'importante è aver dato sempre il massimo in quel momento. Agli elogi e alle critiche non dovrebbe essere data troppa importanza".

Prima di affrontare il Benfica nella fase a gironi, il tecnico del Manchester United Sir Alex Ferguson ha detto: "Aimar è l'unico che temo”. Pablito sorride: "Sono rimasto esterrefatto quando Alex Ferguson si è espresso in quei termini su di me. Un allenatore della sua esperienza che da anni lavora con i migliori calciatori... Quelle parole mi hanno riempito d'orgoglio".

La stella del Benfica ha inciso anche sulla crescita del migliore calciatore del mondo. Lionel Messi ha dichiarato una volta di non avere idoli o modelli, salvo poi ammettere: “Quando avevo 13 o 14 anni mi piaceva molto vedere giocare Aimar".

Aimar non nasconde la soddisfazione: "E' il miglior giocatore del mondo, forse della storia, e sentirgli spendere parole d'elogio nei miei confronti è fantastico. La falsa modestia è peggio dell'arroganza. Sono stato accostato ad alcuni grandissimi nomi. Non era qualcosa a cui aspiravo o che mi aspettavo, ma è molto gratificante".

A 32 anni pensa al ritiro? "Non ho mai parlato di ritiro. Adoro gli allenamenti e lo spogliatoio, il luogo dove vedi che anche i grandi campioni sono ragazzi normali. In campo, si diventa una squadra. E' una sensazione fantastica”.
"Ma è uno sport di contatto, che esige un dazio fisico. E' difficile essere sempre al top della forma. Ho avuto momenti difficili. Ma non ho mai pensato che fosse finita. Avrò sempre dei sogni, qualcuno incompiuto. Si può scegliere di vedere il bicchiere mezzo vuoto, ma è sempre meglio vederlo mezzo pieno".

La versione integrale di questa intervista compare sull'ultimo numero della rivista Champions. Abbonati subito.

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