Come si diventa campioni d'Europa?
venerdì 29 giugno 2012
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UEFA.com cerca di analizzare le armi vincenti dei passati vincitori del Campionato Europeo UEFA facendo un viaggio alla riscoperta dei loro pensieri e momenti unici.
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Qualsiasi psicologo è pronto a spiegare che nello sport si gioca con il corpo ma si vince con la testa. Di seguito analizziamo l'arma vincente dei vincitori del passato del Campionato Europeo UEFA.
A UEFA EURO 2004, il quotidiano ellenico Ta Nea ospita il diario del torneo del difensore Traianos Dellas. Ripercorrere quelle pagine equivale a tracciare genesi, formazione e realizzazione di un sogno. Le annotazioni alla vigilia del torneo sono prudenti, tese a prendere le distanze dalle parole del tecnico Otto Rehhagel. "Rehhagel parla sempre: vuole inculcarci il messaggio che non andiamo in Portogallo a fare i turisti, ma che è la nostra grande occasione”.
Con il passare dei giorni, lo stile diventa metaforico ("Rehhagel mi chiama il Colosso di Rodi”), parabolico ("Rehhagel ci ha detto, 'C'era una volta un grande campione del pugilato che doveva affrontare un avversario modesto...”), con sviluppi stilistici sorprendenti: “lui” diventa “noi”. In vista della finale contro i padroni di casa, le parole di Dellas hanno un ritmo distintivo. "Questa squadra è come un cobra: attacca una volta ed è finita”. Dopo la vittoria, aggiunge: "Quando Angelos Charisteas ha segnato, ho pensato soltanto: 'Adesso è nostra'”.
I pensieri di Dellas fanno eco con quelli di altri vincitori di EURO. Ognuno ha avuto problemi da superare, croci da portare, e ciascuno ha trovato il proprio modo per superarli. Quello che accomuna le 13 squadre vincitrici è la dedizione nei confronti del tecnico, le istruzioni chiare impartite e una meta comune. Iker Casillas ricorda che quattro anni fa la calma rassicurante di Luis Aragonés era stata contagiosa. "Un mese prima della fase finale, il tecnico aveva tutto ben chiaro in mente: come avrebbe gestito la squadra ed esattamente cosa si aspettava dal torneo. E' stato fondamentale”.
Questo non vuol dire che gli allenatori siano sordi a suggerimenti o pareri provenienti dall'esterno. Una delle decisioni più importanti che Berti Vogts prese per la Germania alla vigilia di EURO '96 avvenne a bordo di una gondola a Venezia. Mentre rimuginava ad alta voce sul quarto attaccante da convocare, sentì dirsi da sua moglie Monika (forse annoiata): “Porta Oliver Bierhoff, ti ripagherà”. Bierhoff giocò la finale subentrando dalla panchina e ribaltò il punteggio segnando il golden goal contro la Repubblica Ceca.
La premonizione, quella sensazione inspiegabile ma impossibile da ignorare. Quando Sandro Mazzola scopre di essere stato escluso dalla formazione della finale del 1968 contro la Jugoslavia, inizia a fare le valigie. Soltanto l'intervento dei compagni di squadra Tarcisio Burgnich e Giorgio Ferrini, che lo chiudono a chiave nella stanza, e una telefonata con la moglie lo persuadono a rimanere."Sono uno scorpione. Ho un carattere particolare”, spiegherà più tardi. L'Italia pareggia 1-1 quella finale. La finale va rigiocata 48 ore più tardi. Ci si attende che il Ct Ferruggio Valcareggi escluda ancora Mazzola dopo il suo sfogo, e invece lo schiera: l'Italia vince 2-0 e Mazzola è decisivo.
Le decisioni importanti vengono prese sia dentro che fuori del campo. Qualunque delle due squadre sollevi la Coppa Henri Delaunay a Kiev avrà trascorso oltre 40 giorni con altri 22 compagni di squadra più lo staff tecnico. In questo periodo avranno giocato otto partite, comprese le amichevoli. Per il resto, la giornata sarà stata scandita da una routine fatta di hotel, allenamenti, riunioni tecniche e gestione delle aspettative. Una sorta di carcere a cinque stelle. Confinati in celle spaziose, avendo diritto a uscire soltanto per i pasti, l'ora d'aria per allenarsi e la fin troppo familiare stanza ricreativa.
Come riempire quel tempo? E' innanzitutto un'occasione per consolidare il gruppo, per essere coinvolti piuttosto che per escludersi. Dellas era un appassionato giocatore di backgammon nei tornei della Grecia. Nel 1992, la Danimarca si saldò intorno a viaggi clandestini (ancorché approvati dal tecnico) da McDonald's, mentre la Cecoslovacchia prima della finale del 1976 andò al cinema a vedere un film western di cui nessuno capì quasi una parola. Poca roba a confronto di quello che accadde nel 1988, quando il capitano Ruud Gullit trascinò l'Olanda ad assistere a un concerto di Whitney Houston prima della finale.
Casillas parla più in generale della sede del ritiro della Spagna nel 2008 come di “un luogo di grande felicità”. "C'era questa sensazione di vivere un periodo meraviglioso. Andavamo tutti d'accordo e il gruppo era molto contento dell'allenatore”. L'allenatore. Sembra che la bravura dell'orchestra sia proporzionale a quella del suo maestro. L'unico altro successo della Spagna a EURO è attribuito in larga misura al tecnico José Villalonga, che non convocò alcuni grandi giocatori e scelse un gruppo molto più forte della somma delle singole parti.
Comprensibilmente, il mattino della finale contro i campioni in carica dell'Unione Sovietica, serpeggia una certa tensione tra i suoi giovani calciatori. La squadra aveva il proprio quartier generale a La Berzosa. Lo sguardo dei giocatori era quello delle vittime sacrificali. Villalonga comunica che si va a fare una passeggiata. All'ombra di un olivo, si ferma e disegna sulla terra un campo. Chus Pereda ricorda: "Prese delle pietre e delle pigne. E disse: 'Noi siamo le pietre, gli avversari le pigne. Cos'è più forte, una pietra o una pigna?”. Roba da fare invidia a Rehhagel.