Hrubesch, il "mostro dei colpi di testa"
giovedì 4 giugno 2020
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A 23 anni, Horst Hrubesch giocava ancora nelle serie minori: sei anni dopo, sarà lui a decidere la finale del Campionato Europeo UEFA 1980.
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Una carriera all’insegna del ritardo, quella di Horst Hrubesch. A 23 anni militava ancora nelle serie inferiori del calcio tedesco. Sei anni più tardi, però, guidava l’attacco della nazionale nel Campionato Europeo UEFA 1980, dopo una convocazione in extremis.
A secco di reti nella fase a gironi, Hrubesch rischia di non giocare la finale dell’Europeo UEFA 1980 contro il Belgio. Il Ct della Germania Ovest Jupp Derwall fa "la scelta giusta”, lo tiene in squadra, e Hrubesch lo ripaga con due gol, di cui quello vincente allo scadere.
Il "mostro dei colpi di testa"...
Quel soprannome mi è stato dato da un allenatore al [Rot-Weiss] Essen. Ho sempre cercato di giocare nel modo più semplice possibile e, naturalmente, di sfruttare le mie abilità. Avevo una buona elevazione e anche un buon tempismo. Ho giocato in Bundesliga per otto anni e segnato 136 gol, di cui 81 di testa.
La convocazione dopo l'infortunio di Klaus Fischer...
Ricordo benissimo quando Jupp Derwall mi ha telefonato: è stato l'apice della mia carriera. Magari mi avrebbe chiamato comunque, ma probabilmente non avrei giocato neanche una partita. Prima del Campionato Europeo avevamo giocato ad Hannover contro la Francia ed ero rimasto in panchina; alla fine, è successo tutto molto in fretta. Ho sempre iniziato un po' tardi. Avevo 23 anni quando ho giocato la mia prima partita in Bundesliga e 28 quando ho giocato la prima in nazionale.
Non so se fossi il sostituto naturale di Fischer, ma ero adatto agli schemi di allora. Giocavamo con una punta centrale, mentre Klaus Allofs e Karl-Heinz Rummenigge restavano appena dietro ed erano entrambi molto offensivi. Lo stesso si poteva dire del nostro centrocampo, con Bernd Schuster e Hansi Müller. Attaccavamo anche con i terzini Manfred Kaltz e Hans-Peter Briegel. Era una squadra molto votata all'attacco.
A caccia di un posto...
Non direi che ci aspettassimo di vincere il titolo, ma avevamo una squadra tra le migliori in Europa e siamo sempre stati capaci di dominare il torneo. Era una squadra forte in ogni reparto, i giocatori si incastravano bene e giocavano un calcio bellissimo. Non ho mai avuto problemi ad ambientarmi. Mi capivo bene con Kaltz perché avevamo giocato insieme all'Amburgo, mentre Rummenigge era capace di giocare con chiunque; i registi Hansi Müller e Schuster erano due geni. Insomma, era tutto abbastanza semplice.
Il 3-2 sull'Olanda nella fase a gironi...
Abbiamo giocato bene per 70-80 minuti. Eravamo in vantaggio per 3-0 e loro hanno segnato due gol. Bernd Schuster, Hansi Müller e Rummenigge hanno lavorato bene e Klaus Allofs ha segnato una tripletta. Penso di aver fatto il mio lavoro, come del resto tutta la squadra. Lavoravamo e correvamo l'uno per l'altro: non era importante se a segnare fosse Allofs o Hrubesch. Lo si è visto in generale nel nostro gioco. Non avevamo un giocatore da cui dipendere, ma eravamo forti a livello di squadra e riuscivamo sempre a dominare.
La finale...
Il mio posto era in pericolo. Avevo giocato tre partite senza segnare e se Derwall non mi avesse selezionato avrei capito. Ma ripensandoci, ha fatto la scelta giusta. Mi ricordo bene il gol del vantaggio. I belgi stavano attaccando ma, prima che raggiungessero l'area, Bernd Schuster ha interrotto l'azione e ha iniziato una manovra d'attacco con uno o due passaggi. La palla è finita me, ho segnato e siamo andati sull'1-0; una volta tanto, ho segnato di piede e non di testa.
Nel secondo tempo abbiamo visto la classe del Belgio, che ha meritato di pareggiare [al 75']. Ai supplementari non ce l'avremmo fatta, era un po' troppo. Quel giorno faceva molto caldo e ricordo che dopo la partita ero così stanco che è stato difficile perfino alzare la coppa. Il mio secondo gol è arrivato su un calcio d'angolo di Rummenigge dalla sinistra. Come tutti i corner, era preparato: Rummenigge mi ha dato il segnale e Jean-Marie Pfaff ha fatto l'errore di rimanere sulla linea. Sono riuscito a saltare più in alto di tutti e a mettere la palla in rete.