ESCLUSIVA - Ancelotti si racconta: dall'oratorio ai trionfi in Champions
lunedì 21 ottobre 2019
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Dalle ore passate a giocare all’oratorio, fino ai trionfi negli stadi più importanti: l'allenatore del Napoli si racconta a UEFA.com.
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Pensi a Carlo Ancelotti, la musichetta della UEFA Champions League risuona nella tua mente. Campione d’Europa da calciatore nel 1989 e 1990, da tecnico nel 2003, 2007 e 2014. L’ex allenatore di AC Milan e Real Madrid si è raccontato a UEFA.com.
L’attuale tecnico del Napoli ha un rapporto speciale con la massima competizione europea per club, e col pallone, con cui è cresciuto da ragazzo, fino a diventare l’uomo che è adesso. Dalle ore passate a giocare all’oratorio, fino alle Coppe dalle Grandi Orecchie alzate al cielo negli stadi più importanti. Ancelotti ha sempre avuto un filo conduttore: la passione per il pallone.
Quando pensi al calcio, a cosa lo associ?
Ho sempre associato il calcio a passione e felicità. Giocavo per ore col pallone dopo scuola, giocando all’oratorio. Poi ho iniziato a giocare da professionista alla AS Roma, iniziando la mia carriera. Ma non è mai stato un lavoro, né da calciatore né da allenatore. E’ sempre stata una mia passione.
Da calciatore prima, e da allenatore poi…
Non ho mai rimpianto di aver smesso presto. Mi sono ritirato a 33 anni, ma con tutti i problemi alle ginocchia non è stato difficile lasciare. Mi ritengo fortunato di aver iniziato la carriera da allenatore. Sono sempre vicino all’azione, anche se non posso intervenire direttamente. Un allenatore dipende dai suoi giocatori in campo. Può dare delle istruzioni, su ciò che i calciatori possono fare in campo. Conoscenza ed esperienza sono molto importanti per un tecnico. Se pensi che possa bastare essere un grande calciatore per diventare un grande allenatore, ti sbagli. Ci sono molti aspetti: non solo tattica, ma anche il rapporto con i giocatori, con la società e con i media. Io ho avuto molta fortuna ad allenare grandi giocatori. Rende tutto più semplice. Tutti pensano che sia difficile allenare grandi campioni, ma in realtà rende tutto più semplice: oltre ad avere grande qualità sono quasi sempre i più seri e professionali.
Come nasce il rapporto speciale con la UEFA Champions League?
Il primo ricordo che ho della Coppa dei Campioni nella mia carriera è nel 1984. Mi infortunai, ma la Roma raggiunse la finale. Poi il trionfo del 1989, nella finale di Barcellona contro lo Steaua Bucharest. Ricordo tutto. L’atmosfera prima della finale, con 90,000 tifosi del Milan. Poi ricordo le difficoltà della mia seconda finale, contro il Benfica a Vienna. Sono memorie vive. Giocare la finale di Champions League è l’highlight della carriera di qualsiasi calciatore. La Champions League è la competizione più importante del mondo, la più emozionante, anche per via dell’eliminazione diretta.
I trionfi in campo, poi quelli in panchina…
Il trofeo vinto con il Milan nel 2003 è stato il mio primo, quindi sicuramente il più importante. Ho vinto altre due volte, ma la prima ha un sapore speciale, anche perché fu una finale tra due squadre italiane, quando il calcio italiano era al massimo livello. Nel 2014 giocammo una grande UEFA Champions League, quel Real Madrid voleva fortemente conquistare ‘La Décima’. E' stata la vittoria di un ambiente che voleva ‘La Décima’. Per il Napoli la Champions League è una verifica. Il Napoli non ha mai ottenuto grandi risultati in questa manifestazione nella sua storia, quindi per noi rappresenta un test per cercare di fare sempre meglio.