'Rudi giramondo': gli allenatori nomadi
martedì 20 dicembre 2016
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"Credo fosse una specie di missione per me", ha sottolinea Rudi Gutendorf ripensando alla sua carriera da record che l'ha portato a sedersi su 55 panchine di tutto il mondo, comprese 18 nazionali.
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"Quando divenni un allenatore, mia madre mi guardò come se fossi divenuto uno spazzino - racconta Rudi Gutendorf -. Lei non vedeva un futuro nello sport, avrebbe preferito diventassi un impiegato statale".
Una vita dietro una scrivania, tuttavia, non era nel suo destino. Oggi a 90 anni, il tedesco detiene il record mondiale per avere allenato 55 squadre durante la sua carriera, comprese 18 nazionali. "Non posso ricordare tutte le squadre che ho allenato, ma probabilmente il mio è un record che nessuno riuscirà mai a supererare", ammette l'ex commissario tecnico di Bermuda, Bolivia, Antigua, Australia, Nuova Caledonia, Fiji, Cile, Nepal e Tonga – soprannominato 'Rudi giramondo' – ripensando alla propria carriera che ha attraversato cinque continenti.
La sua fama nasce nel 1963/64, quando Gutendorf utilizza una tattica inusuale per portare il Meidericher SV – oggi MSV Duisburg – a uno spettacolare secondo posto nella prima stagione della Bundesliga. "Lasciavo tutti i giocatori dietro ad eccezione del solo attaccante. Ogni qual volta gli avversari erano frustrati e abbassavano la guardia perché non riuscivano a segnare, io saltavo in piedi dalla panchina e muovevo le braccia. Questo era il mio segnale per la squadra. A quel punto i giocatori si buttavano in avanti e andavano a fare gol. Ecco come siamo arrivati secondi dietro l'1. FC Köln. È stato un vero e proprio miracolo".
Un altro miracolo sportivo è accaduto proprio alla fine della sua carriera. Era l'8 aprile del 2000 e il Ruanda di Gutendorf pareggia 2-2 con la nazionale stellare della Costa d'Avorio in una partita di qualificazione alla Coppa del Mondo FIFA. In un momento storico particolare, perché la nazione era ancora terribilmente segnata dalla guerra civile, il pareggio è stato un risultato sorprendente. "Ero in estasi di gioia - ricorda Gutendorf -. Hutu e Tutsi si abbracciavano felici. La generazione dei loro padri voleva ancora tagliarsi la gola a vicenda, ma in quel momento i figli di quella nazione si abbracciavano in campo e sugli spalti. Questo è stato probabilmente il momento più bello della mia carriera".
Nonostante tutte le panchine all'estero, la fama di Gutendorf era riconosciuta anche in Germania dove è stato anche il tecnico di Hamburger SV, Hertha BSC Berlin e FC Schalke 04. Con la squadra di Gelsenkirchen, che ha portato sino alla semifinale di Coppa delle Coppe 1969/70, c'era un feeling particolare. Il suo Schalke aveva ricevuto da Gutendorf un'etica del lavoro fuori dal comune. La squadra, per ordine del tecnico, si incontrava alle 5 del mattino per gli allenamenti davanti alla miniera di carbone locale, in modo che i giocatori si rendessero conto dei sacrifici affrontati dai minatori nella valle della Ruhr – ancora oggi il cuore pulsante dei tifosi dello Schalke.
Tuttavia, Gutendorf rimane raramente in Germania a lungo. Il richiamo verso terre lontane è più forte della sua voglia di rimanere in patria, e così l'avventura del tecnico tedesco prosegue verso luoghi sempre più impervi e improbabili. "Ho sempre lavorato con i più poveri tra i poveri - ha spiegato con una risata quasi diabolica -. Perché l'ho fatto? È una bella domanda. Anche mia moglie me l'ha sempre chiesto. Credo fosse una specie di missione per me. Ma in realtà ho sempre sentito che era la cosa giusta da fare".
Nel 2011 il suo apporto al mondo del calcio è stato onorato con la Croce al Merito della Repubblica Federale Tedesca. Oggi risiede felicemente nella sua città natale Koblenz, ed è una delle figure più popolari della Germania, non risparmiandosi mai nel condividere ricordi e aneddoti della sua vita calcistica sia in televisione che nella sua pagina Facebook, presa d'assalto ogni giorno dai suoi fan. "Sono solo il classico buontempone della Renania. Quando sarà il mio momento, non voglio avere alcun rimpianto della mia vita. Questo è il motivo per cui mi sono divertito nel rischiare così tanto".