Guardiola e gli 'allenatori in campo'
venerdì 1 maggio 2015
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Una caratteristica che accomuna i più grandi tecnici è che, da giocatori, erano già 'allenatori in campo': da Giovanni Trapattoni a Josep Guardiola, Champions Matchday rende omaggio ai calciatori capaci di rimettersi in gioco.
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Tommy Boyle, capitano del Burnley FC nei primi anni del '900, era solito dire: "È con la tattica che si vinceranno le partite in futuro... Sarà fortunata la squadra che avrà un genio per capitano". Che cosa voleva dire esattamente?
Da allora, i tecnici hanno usato schemi sempre più complessi e i capitani sono diventati la loro estensione sul terreno di gioco: ecco perché spesso vengono detti gli "allenatori in campo".
Un esempio moderno è Mathieu Flamini dell'Arsenal FC, così definito da Santi Cazorla per il suo equilibrio, il senso della posizione e l'intelligenza. Una definizione simile del ruolo di capitano è stata usata anche dal Ct della Spagna Vicente del Bosque, che a sua volta era un centrocampista dalle suddette caratteristiche.
Un altro binomio utilizzato di frequente è quello di "capitani coraggiosi", anche se forse è più adatto agli anni '60 e '70. Sandro Mazzola ricorda un episodio della Coppa dei Campioni 1963: "Giocavamo contro il Monaco ed eravamo rimasti in nove [il capitano Armando Picchi e un altro infortunato erano ancora in campo perché le sostituzioni non erano consentite]. Picchi mi ha cambiato ruolo e mi ha detto: 'Adesso gioca come tuo padre!' Sono diventato un leone, anche nei contrasti. A fine gara, la stampa ha elogiato [Helenio] Herrera ma il merito era di Picchi, un vero comandante".
Più che una semplice fascia
Spesso, i capitani agivano di propria iniziativa. È il caso di Danny Blanchflower, giocatore del Tottenham Hotspur FC negli anni '60, che racconta: "In campo ero come l'allenatore e prendevo le decisioni migliori per tutta la squadra. Se qualcosa andava storto, facevo di testa mia".
Ma come reagivano gli allenatori? Si dice che Herrera costrinse Picchi ad andare all'AS Varese perché era stato rimproverato dal giocatore dopo la sconfitta in finale di Coppa dei campioni del 1967 contro il Celtic FC. Angelo Moratti, allora presidente, ha però negato: "Picchi ha discusso senza arroganza e il trasferimento non è stato una vendetta".
Nell'Inter di Giovanni Trapattoni degli anni '80 e '90, il capitano era Lothar Matthäus. "Era capace di cambiare una gara da solo - racconta Aldo Serena -. Voleva sempre attaccare e a volte c'erano attriti fra lui e il Trap".
Trapattoni aveva avuto un ruolo simile nell'AC Milan di Nereo Rocco degli anni '60. Insieme ad altri veterani, come Gianni Rivera e Cesare Maldini, faceva parte di un piccolo gruppo che analizzava le tattiche con l'allenatore, che a volte lasciava loro il compito di adattarsi alle situazioni.
Trapattoni lo prese in parola in finale di Coppa dei Campioni 1969 contro l'AFC Ajax. Poiché Angelo Anquilletti faticava a contenere Johan Cruyff, Trapattoni gli disse di marcare Sjaak Swart e si incaricò personalmente del regista, che ebbe molta meno libertà. Senza sorprese, la squadra di Rocco vinse 4-1.
Il pensatore
Anche se nel calcio moderno è più difficile trovare questi esempi di autonomia, alcuni allenatori delegano volentieri. Nel Celtic degli anni '90, per esempio, il tecnico Wim Jansen si affidava a Paul Lambert per correggere le posizioni in campo.
Usare un luogotenente, in effetti, può essere utile per alleggerire i doveri tattici dei giocatori. Carles Rexach, assistente di Cruyff all'FC Barcelona, racconta: "Pensavamo una strategia e la spiegavamo a tutta la squadra, ma quando i giocatori se ne andavano chiamavamo Pep [Guardiola] e gli dicevamo: 'Al 20' ti faccio un segno e passi a quest'altra tattica. Lo dicevamo solo a lui, perché con troppe informazioni gli altri sarebbero impazziti".
Al Real Madrid, Carlo Ancelotti aveva scelto come suo messaggero Xabi Alonso, passandogli le istruzioni dalla panchina. Al Milan, Arrigo Sacchi aveva fatto lo stesso con il tecnico emiliano. "Ancelotti sembrava lento - ha dichiarato Sacchi a proposito del capitano del Milan negli anni '90 -. Gli ho fatto vedere come muoversi e alla fine era quello che pensava più velocemente di tutti. Era l'allenatore in campo perfetto".
Un'arte complessa
Una caratteristica che accomuna i più grandi tecnici è che, da giocatori, erano gli allenatori in campo per eccellenza. Il primo esempio è Franz Beckenbauer, il leggendario libero della Germania e dell'FC Bayern München.
Questo vale anche per le squadre che puntavano di più sul collettivo, come l'Olanda del "calcio totale". Pur dovendo molto agli schemi di Rinus Michels, la formazione si affidava anche all'autorità di Cruyff. "Erano molto importanti gli spazi - racconta l'ex difensore Barry Hulshoff -. Cruyff ci diceva sempre da che parte correre, dove stare e quali zone evitare. Era una specie di architetto".
Dunque, la posizione di regista sembra essere quella più privilegiata per diventare un allenatore di successo. Non è un caso che, dei 29 allenatori della UEFA Champions League 2014/15 che hanno giocato a livello professionistico, 17 erano centrocampisti.
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