La parabola di Arteta da Barcellona all'Arsenal
lunedì 21 novembre 2011
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I Gunners puntano a centrare l'accesso agli ottavi di finale nella sfida contro il Borussia Dortmund e Mikel Arteta ha spiegato a Champions come la lezione imparata a Barcellona lo abbia aiutato a imporsi a Londra.
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Sette anni fa, una figura importante del calcio spagnolo in Inghilterra telefonò a David Moyes e gli chiese: "Stai ancora cercando un centrocampista centrale? Qualcuno che detti i tempi all'attacco? Sei pronto a rischiare con un giocatore che resta spesso in panchina in una squadra che non sta girando al massimo?".
All'epoca Mikel Arteta andava regolarmente in panchina nella Real Sociedad de Fútbol, ma il tecnico dell'Everton FC decise di seguire il suo istinto e di puntare su di lui. E raramente un giocatore straniero ha saputo adattarsi così bene allo spirito del club.
Poi, dopo quasi 180 gare di Premier League giocate con il club di Liverpool, il centrocampista si è trasferito all'Arsenal FC a settembre. Nel frattempo, l'Everton era cresciuto insieme a lui: una nuova struttura per gli allenamenti, le serate europee e una finale di FA Cup, ma a 29 anni lo spagnolo voleva confrontarsi con una nuova sfida.
Arteta è approdato all'Arsenal sulla scia di uno dei trasferimenti più complicati che si ricordino, quello che ha riportato Cesc Fàbregas all'FC Barcelona. Un addio che ha lasciato un vuoto profondo nello spogliatoio dei Gunners e ancor più in campo.
I paragoni con il connazionale si sono ovviamente sprecati, ma Arteta non gli ha dato troppo peso: "Se provassi a sostituirmi a Cesc, comincerei con l'approccio sbagliato. Io sono qui da poche settimane, mentre lui è rimasto otto anni. Per me sarebbe impossibile sostituirmi a lui sotto questo punto di vista".
Ma Arteta e Fàbregas non hanno condiviso solo il destino di fari di centrocampo dell'Arsenal. Entrambi, infatti, sono approdati a La Masia, l'accademia giovanile del Barcellona, nel 1987. Fàbregas aveva dieci anni e Arteta, 15. E anche se il N°8 dell'Arsenal è rimasto in Catalogna solo per due anni, quell'esperienza lo ha formato come giocatore.
"Ho imparato a passare il pallone al Barcellona, allenandomi con giocatori come [Josep] Guardiola, Rivaldo, Luís Enrique e [Luís] Figo - racconta -. La prima volta in prima squadra ho giocato un'amichevole di pre-campionato contro l'Hertha Berlino, avevo 16 anni e sono entrato all'intervallo al posto di Guardiola. Dopo la partita mi ha parlato a lungo di tutto ciò che avevo fatto in campo. Non c'è un aiuto migliore che un giovane possa chiedere".
All'Arsenal, dove è uno dei volti nuovi, ha il compito di portare la sua esperienza a centrocampo, qualcosa che cerca di fare anche fuori dal terreno di gioco.
"Lo spogliatoio è lo specchio dei periodi difficili che si hanno in campo, o di quei 15, 20, 75 minuti quando la squadra soffre davvero. In quei momenti si vede come reagiscono i tuoi compagni, gli sguardi tra loro dicono tutto. Quando tutto sembra perso un buono spogliatoio si compatta. E' importantissimo".
Poi c'è Arsène Wenger, un manager che deve dare sempre l'esempio quando qualcuno mette dubbi sulla filosofia del club. "Sono rimasto sorpreso da quanto sia diretto il suo messaggio - spiega Arteta -. I giocatori non ricevono 40 istruzioni. Wenger dà a un giocatore sei o sette idee ed è tutto. Dopo 20 minuti sai già cosa stai facendo".
A 29 anni, Arteta ha accettato il rischio di trasferirsi a un club che sta attraversando il periodo più complicato dagli anni '90. Wenger è sicuro di poter ottenere il meglio da Arteta: "E' un giocatore completo, sa fare le due fasi ed è molto ambizioso. Tutti ingredienti per essere un giocatore perfetto per l'Arsenal". Dovesse aver ragione Wenger, il futuro dell'Arsenal sarebbe sicuramente più sereno.
L'intervista completa con Mikel Arteta è nel nuovo numero di Champions, la rivista ufficiale della UEFA Champions League.