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Pereda rievoca lo spirito del '64

L'ex attaccante del Barcellona racconta la conquista da parte della Spagna del primo titolo importante nell'edizione del 1964 del Campionato Europeo.

Pereda rievoca lo spirito del '64
Pereda rievoca lo spirito del '64 ©UEFA.com

Giunta a UEFA EURO 2008 con la considerazione di squadra che aveva un rendimento sempre più basso rispetto alle aspettative, la Spagna dimostrò a tutti che le situazioni spesso possono cambiare. Oltre ad aggiudicarsi il torneo in Austria e Svizzera, La Roja vinse due anni dopo la Coppa del Mondo FIFA 2010 e a UEFA EURO 2012 è diventata la prima squadra a vincere il terzo titolo consecutivo importante.

I recenti successi spagnoli sono arrivati dopo ben 44 anni di digiuno e l'ex beniamino dell'FC Barcelona, Jesús María Pereda, prima della sua scomparsa nel settembre 2011 ha rievocato il momento in cui “realizzò il sogno” di vincere in patria il primo grande torneo nella storia della Spagna: 2-1 nel Campionato Europeo UEFA 1964. L'intraprendente attaccante ha ricordato l'originale seduta tattica di José Villalonga, l'ambiente rovente del Santiago Bernabéu e lo spirito di squadra battagliero di una squadra che conquistò il cuore di una nazione.

Cosa ricorda del Campionato Europeo UEFA del 1964?

Jesús María Pereda: Conservo molti ricordi. La finale fu contro l'Unione Sovietica al Santiago Bernabéu. Fu un evento molto importante intorno al quale si raccolse tutta la Spagna. Andammo in ritiro a 50 km da Madrid, e lì definimmo la nostra strategia. Il tecnico José Villalonga tracciò un campo di calcio sulla sabbia e usò delle pietre per rappresentare noi e delle pigne per rappresentare l'Unione Sovietica. Ci disse che le pietre erano più forti delle pigne, e che quindi avremmo vinto.

Passammo in vantaggio. Luisito Suárez andò via sulla destra e crossò. Le due 'torri' sovietiche si avventarono sul pallone. Il primo lo mancò e andò a sbattere contro il compagno. La palla arrivò a me: calciai con una tale forza che caddi all'indietro. Un quarto d'ora più tardi pareggiarono. Quando mancavano sette-otto minuti alla fine, crossai per Marcelino che insaccò in tuffo di testa. Fu incredibile. Passammo tutta la notte a festeggiare e a ballare.

Cosa le passò per la testa quando giocò contro Lev Yashin?

Jesús María Pereda: Aveva quest'aura di superuomo, e invece era una persona normale e simpatica. Aveva un senso della posizione impeccabile e aveva un fisico imponente. Fu invitato a Barcellona qualche tempo più tardi e lo portai un po' in giro. Era molto simpatico; l'ho incontrato in Unione Sovietica quando allenavo al Mondiale.

Quale delle due squadre era migliore, quella del 1964 o quella del 1960?

Jesús María Pereda: Non credo che la squadra del 1964 fosse migliore. La squadra del 1960, quella con Di Stéfano e [László] Kubala, aveva più talento, ma nel calcio più che i nomi conta la squadra. Eravamo un buon gruppo e Luisito Suárez il nostro direttore d'orchestra. Poi avevamo giocatori del calibro di Amancio Amaro e Marcelino, che era un goleador nato. E poi c'erano [Ignacio] Zoco, Fusté, [Feliciano] Rivilla, [Fernando] Olivella, Calleja e un giovane portiere di nome José Ángel Iríbar. Eravamo tutti in forma e il compito dell'allenatore era far sì che giocassimo come una squadra.

E della rivalità tra giocatori del Real Madrid e dell'FC Barcelona?

Jesús María Pereda: Eravamo tutti amici, anche con i compagni del Saragozza, dell'Athletic e dell'Atlético. Sette componenti della squadra erano del Real Madrid e del Barcellona. Andavamo d'accordo, vivevamo e giocavamo come fratelli.

Ma cosa provava come giocatore del Barcellona a giocare una finale al Santiago Bernabéu?

Jesús María Pereda: Grandi emozioni. Avevo giocato con il Real Madrid a 18 anni al fianco di Di Stéfano, [Ferenc] Puskas, [Francisco] Gento e così via. Eppure rimasi impressionato dallo stadio, completamente gremito dal pubblico che cantava España, España! Laurearsi campioni d'Europa in una cornice simile fu la realizzazione di sogno.


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